frontCi sono vari modi per risultare derivativi e non soltanto nel senso negativo del termine, siamo nel 2014 e riuscire a creare qualcosa di innovativo  tout court non è impresa semplice e, al momento, forse neanche possibile. La quantità di musica dalla quale siamo invasi grazie alla tecnologia però, con pazienza e un pò di fortuna, talvolta può riservare delle gradevoli sorprese.

E’ il caso questo dei Pymlico, band norvegese nata tre anni fa intorno ad un progetto dei fratelli Arild Øyvind Brøter, che oggi presenta già il terzo album della breve carriera intitolato Guiding Light.

Il progressive strumentale proposto da questo giovane gruppo si richiama ad innumerevoli spunti del glorioso passato (Pink Floyd, Camel, Marillion e potrei proseguire) ma spicca anche per le numerose variazioni in chiave più moderna, sottolineate poi da un largo uso di fiati e tastiere. Un aggancio attuale può essere (solo sotto certi aspetti) quello dei polacchi Moonrise.

L’ album di esordio (Inspirations) del 2011 e quello successivo (Directions) dell’anno seguente hanno visto la band impegnata ad offrire una girandola di input, belli e significativi, forse assemblati in modo un pò frenetico; questa tendenza si conferma anche in Guiding Light ma in misura minore, cresce infatti la sensazione che il combo scandinavo e sopratutto il master mind Arild Brøter abbiano imboccato la via di una maggiore personalizzazione.

Passaggi sinfonici e melodici vengono spesso messi a contrasto da sonorità più oscure, evidenziando quello che è ormai il marchio di fabbrica ed il sentimento della musica del Grande Nord, coniugando così antichi e mai dimenticati momenti ad altri, attuali ma non per questo scevri di emozioni.

Numericamente è una band difficile da inquadrare, molto aperta; diciamo che il nucleo centrale (quello che si esibisce live) è formato appunto da Arild Brøter (batteria ma in studio pure tastiere e chitarre), Øyvind Brøter (tastiere, organo), Axel Toreg Reite (basso), Mads Tvinnerheim Horn (chitarre e tastiere) e Stephan Hvinden (chitarra). A loro si aggiungono in studio di volta in volta innumerevoli musicisti, tra questi si possono contare almeno tre fiati tra cui il sax di Ivan Mazuze.

Sette i brani contenuti per una cinquantina di minuti piacevoli e variati, con qualche momento davvero interessante e che spero permetta loro una maggiore visibilità anche in Italia; è fuori di dubbio che oramai anche la Norvegia, così come a suo tempo la Polonia, sia diventata una delle nuove frontiere del new prog, scandita dalla sensibilità e dal carattere di quelle latitudini.

A Day Out registra un inizio tribale dove i tamburi attuano un vivace crescendo che lascia poi il posto ad un avvio molto promettente della band, musica quasi per lampi, per fotogrammi; una pausa ed entra il sax come protagonista, un vulcano pronto ad eruttare ma, contrariamente al previsto, l’esplosione non avviene.

Sonorità elettroniche danno il la a Sounds Of The City, traccia (ovviamente strumentale) che richiama da lontano qualche atmosfera dei Depeche Mode; il tema centrale viene elaborato e dilatato, un passaggio che ruota interamente intorno ad una melodia gradevole ma è quello che meno mi convince, per la ripetitività e l’eccessiva durata.

Fioccano le emozioni invece con la successiva The East Side, uno degli episodi migliori del disco. Atmosfera estremamente rarefatta con il sax protagonista da subito, brano se vogliamo “notturno”, caldo, dal quale emerge quell’analogia con i polacchi Moonrise di cui dicevo sopra. Tastiere e fiati si spartiscono la scena sino al prepotente ingresso della chitarra; il brano scorre piacevole, etereo e di ampio respiro, giocato sulle continue variazioni portate alla melodia.

Wanderlust si riallaccia al pezzo introduttivo nelle intenzioni, aggiungendo un vago tocco mediorientale che in qualche modo ne esalta il sapore. Chitarra e tastiere disegnano i contorni di uno scenario d’oriente, supportati da una batteria ipnotica.

Piano elettrico e chitarra per un inizio dalle tinte fusion e pure Van Der Graaf Generator, così si presenta Bobcat, sicuramente una tra le tracce più interessanti grazie agli innumerevoli stacchi e ripartenze. Pezzo piuttosto border line, esce bruscamente dal seminato del combo norvegese e regala una sezione centrale molto emotiva.

Piz Gloria lanciata a gran ritmo su una base di suoni elettronici regala una delle migliori performance del basso di Axel Toreg Reite. Strumentale dall’incedere poderoso e solenne, venato di colori space rock, si propone sicuramente come uno dei brani da non perdere dell’album. Un finale di pura marca floydiana genera brividi e pelle d’oca.

La lunga Neptune chiude il conto (quattordici minuti circa); di nuovo un sax protagonista per un incipit cadenzato ma nostalgico sul quale si adagia mollemente poi anche la chitarra. Un successivo segmento guidato dal piano tiene in serbo un graffiante solo dell’elettrica, perseguendo di nuovo un mood vicino a quello di Gilmour e soci. Un repentino cambio di tempo inaugura l’ultima fase, il ritmo diviene molto più serrato prima di ritornare sulla melodia di apertura grazie al sax.

Non è poco a mio avviso per una band così giovane, Guiding Light segna un passo avanti per questi ragazzi pur tra i numerosi riferimenti che ho avuto modo di citare; comincia ad emergere maggiore personalità e questo può essere importante per le prossime prove. Interessanti a patto di apprezzare un album interamente strumentale.

Max

 

 

 

 

 

 

 

 

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