Gentle Giant – Interview (1976)

Pubblicato: febbraio 15, 2022 in Recensioni Vintage
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GG In

Pochi mesi dopo l’uscita dell’ottimo Free Hand (titolo con il più alto riscontro di vendite negli States) i Gentle Giant ritornano in sala di registrazione, più precisamente presso gli Advision Studios di Londra, per incidere il nuovo e ottavo album della loro preziosa ed altamente qualitativa discografia.

Accreditati fin dagli esordi come uno dei gruppi di assoluto riferimento della scena progressive rock, i Gentle Giant hanno effettivamente sin qui mantenuto le promesse, infilando una serie di lavori splendidi segnati da uno stile inconfondibile e, per questo, molto personale: non sono poche infatti le band che a loro in qualche modo di sono ispirate, pure al di fuori dei confini inglesi.

Una immensa capacità di armonizzare a più voci, il gusto finissimo per aggregare elementi jazz o di musica antica ad altri rock grazie anche ad una sezione ritmica proteiforme e soprattutto un songwriting raffinato, composito, solido; tutte qualità esibite con successo attraverso sette dischi consecutivi per un ruolino di marcia di elevatissimo profilo.

Arrivati a questo punto, siamo nel 1976, i Gentle Giant hanno dato davvero tanto alla causa ma, prima che giunga un inevitabile crepuscolo, hanno ancora la forza per sferrare una importante zampata e lo fanno con Interview, pubblicato per Chrysalis nel mese di aprile. Il disco in sostanza non produce alcuna componente innovativa ma lo spessore dei sette brani presenti denota ancora un vivace entusiasmo ed una intatta attitudine nel creare trame ricercate.

Il primo lato si suddivide in tre brani, il primo dei quali è rappresentato dalla vertiginosa title track. Il consueto incalzante lavoro dell’ Hammond suonato da Kerry Minnear viene contestualmente accompagnato da un ritmo pulsante dove si intrecciano efficacemente la batteria (John Weathers) ed il basso (Ray Shulman); quindi entra in azione la chitarra (Gary Green) e sale in cattedra il timbro alto di Derek Shulman. Un break di synth e piano elettrico é solo una pausa prima di una ripartenza inframezzata da un inciso del piano; la sezione centrale del brano vede poi un cambio di passo per uno strumentale jazzy trainato da basso, batteria, piano e chitarra, capace a sua volta di mutare repentinamente a favore di una fase di inquieta e crescente attesa che precede il raccordarsi dell’epilogo al tema iniziale.

Con delle movenze simil-reggae si muove curiosamente Give It Back, brano particolare firmato dal front man ma dall’intendimento un po’ criptico; la fase centrale vede i Gentle Giant giocare a scardinare la melodia con un mood che resta tra il serio ed il faceto ma che, a mio avviso, non rapisce il cuore.

Design è invece un ardito esperimento per voci e percussioni nel quale i Gentle Giant, guidati inizialmente dai cori e dalla voce di Kerry Minnear, si cimentano prima cantando a cappella e poi proseguendo con l’inserimento di molteplici percussioni e contrappunti vocali. Un passaggio che ho definito “ardito” ma che in realtà fotografa alla perfezione le peculiarità della band.

Il secondo lato è aperto da Another Show, traccia dotata di un eccellente “tiro” nella quale la ritmica, le numerose keyboards di Minnear ed i fraseggi della chitarra si incrociano a velocità molto serrata, tra cambi di tempo e variazioni che si susseguono brucianti, vere scariche di adrenalina.

Fitti arpeggi di una 12 corde ed una seconda acustica e poi il piano elettrico a confezionare un’aura romantica sulla quale si innesta il cantato di Derek Shulman; si inseriscono quindi un sax alto ed intarsi dell’elettrica per una seconda parte più animata che va così a completare Empty City.

Parte deciso il basso in Timing, un brano fortemente scandito in cui giocano un ruolo basilare anche le tastiere. Una trama a spirale si dipana protendendosi all’infinito, punteggiata inoltre dal suono del violino (Ray Shulman), in una ricerca fine del punto d’incontro tra l’impeto rock ed una ibridazione jazz.

A chiudere una seconda facciata ben strutturata ci pensa I Lost My Head: un tuffo nel lontano passato, indietro di secoli tra sonorità antiche (il clavicordo su tutte) ed i “soliti” meravigliosi ricami vocali che tratteggiano un soundscape fiabesco. Lo sviluppo del brano prevede una sezione più scoppiettante nella quale i Gentle Giant danno fondo alle loro energie con una grande prova d’insieme.

Ancora a distanza di alcuni decenni non ho la presunzione di ritenere Interview l’apice del “gigante gentile” ma credo tuttora sia un ottimo album, l’ultimo di questo livello prima di alcune prestazioni più stanche che ne decretarono in seguito la fine.

Max

commenti
  1. CrioGio ha detto:

    Li ho molto molto apprezzati fin dagli esordi e fino a The Missing Piece, poi la magia per loro e per tutto il prog è crollata, sotto i colpi di quella valanga di Punk (ma non solo). La storia sarebbe lunga e il proprietario di questo blog la conosce benissimo. Interview mi è sembrato già meno “partecipato” dei suoi precedenti. Intendo un tantino troppo freddo, pur nella sempre spettacolare capacità acrobatica dei componenti che sembrava non avere mai fine. Le note sono sempre e solo 12 ma le combinazioni credo siano molto lontane dall’essere esaurite. Grazie per la pregevole recensione . (il mio personale Top di gamma rimane sempre e comunque Three Friends )

  2. Max ha detto:

    Three Friends è una vetta !

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