frontPer illustrare brevemente Sagacity, ventunesimo e nuovo album dei canadesi Saga, potrei tranquillamente ripartire dalla recensione scritta giusto due anni fa per 20/20. Riavvolgendo il nastro dal ritorno del cantante Michael Sadler, la band si preoccupa infatti di consolidare quanto di buono fatto con la precedente uscita, proseguendo su quel cammino.

I contenuti hard rock, pop rock, A.O.R. risultano sempre più fusi a componenti progressive rock così da costruire un sound potente ma con barlumi romantici che credo si possa ormai riferire alla dizione heavy prog. Questa è sempre più la dimensione del gruppo che, probabilmente in contro tendenza, sta offrendo il meglio a carriera oramai ampiamente avviata.

L’avvento definitivo di Mike Thorne alla batteria in luogo di Brian Doerner pare avere conferito nuova energia e freschezza ritmica, una buona dose di carica.

Sembra quasi che il quintetto stia vivendo una seconda giovinezza; a dirla tutta anzi, con questo Cd i Saga compiono un ulteriore passo in avanti. Complessivamente il lavoro è ancora più solido e riduce davvero al minimo tempi morti o comunque passaggi più deboli. Tutto questo a patto di non essere rigidamente e solo aggrappati a suoni del mellotron, chitarre liquide e suite interminabili perché non è quello il progressive proposto dai canadesi.

Mancano sicuramente due o tre pezzi forti, trainanti, che possano ulteriormente innalzare il livello ma, ripeto, globalmente il disco è buono, compatto, per un ascolto godibile sin dalla partenza lanciata di Let It Slide, con una groove pastosa dettata dal basso di Jim Crichton e le pelli di Mike Thorne; tanta spinta in questo brano iniziale, tanto spazio per le tastiere dello stesso bassista e per inserti delle due chitarre.

Buone intuizioni emergono da quasi tutte le tracce: le venature hard rock di It Doesn’t Matter (Who You Are) con l’ottima chitarra di  Ian Crichton, scenari composti da un progressive pronto a sdoppiarsi tra un’anima romantica ed un altra più heavy e complessa (Go With the Flow), polifonie interessanti (Press 9).

Brevi ma veloci e tirati episodi (Wake Up), up tempo ballad ben arrangiate (The Further You Go); atmosfere solenni poi stemperate in uno stile vicino a quello brioso degli Yes più disimpegnati, frammenti compositi che strizzano però l’occhio a melodie immediate (No Two Sides).

Di nuovo l’ondeggiare tra sonorità più pesanti e sezioni molto melodiche (Luck I’ll Be) mentre Vital Signs e la prevedibile Don’t Forget To Breathe sono a mio vedere  gli unici episodi in tono minore.

Con i loro pregi e difetti, limiti e qualità, mancanze e peculiarità i Saga confermano la loro maturazione, avvenuta probabilmente in modo lento ed atipico rispetto a molte altre band. Sagacity (un gioco di parole) offre uno spaccato completo delle loro doti e potenzialità, non è certo un “must have” ma garantisce 50 minuti di piacevole ascolto, a patto di non avere aspettative specifiche eccessivamente elevate.

Max

 

 

 

 

 

 

 

 

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