Soft Machine – Hidden Details 2018

Pubblicato: settembre 13, 2018 in Recensioni Uscite 2018
Tag:, , , , , , , ,

Un colpo di coda sensazionale, questa la descrizione in pillole che mi sento di fornire per Hidden Details, nuovo e sorprendente album degli eterni Soft Machine. Abbandonato il termine Legacy che aveva accompagnato il quartetto sino a cinque anni fa con il brillante Burden Of Proof, la”macchina morbida” si è rimessa incredibilmente in cammino a 50 anni esatti dall’esordio, un’era musicale intera !

Ed è stata una scelta (non solo di tipo semantico) assolutamente da condividere perché questo è un lavoro Soft Machine a tutti gli effetti, vuoi per la militanza di decenni di tre dei protagonisti, vuoi per l’intesa profonda cementatasi negli anni con Theo Travis, a mio avviso uno dei più versatili e raffinati interpreti e compositori ai fiati del panorama odierno.

Nessun aspetto, punto di osservazione, nessuna peculiarità della band viene lasciata indietro in Hidden Details ma il sound, peraltro caratteristico e distinguibile, viene filtrato attraverso un approccio attuale, moderno se vogliamo; dunque spazio all’improvvisazione ma senza il dilatarsi infinito dei brani, fornendo anzi un paio di stimolanti riletture di passaggi di tanto tempo fa. Ed ancora, piccoli bozzetti, pezzi densi di sonorità pregnanti contenuti come durata ed una coppia di segmenti più arcigni e ruvidi ne fanno un disco da ascoltare senza pause, facendosi trascinare dalla vena jazz rock del gruppo.

In buona sostanza, ciò che colpisce è la voglia, la compattezza, il desiderio di mettersi in gioco che ancora animano questi musicisti oramai in la con gli anni, davvero una rarità e questo, beninteso, va oltre le doti tecniche e compositive.

Venendo all’ascolto, non si può restare indifferenti al tourbillon di sensazioni che scatena la title track posta in apertura, tra il lavoro continuo e variato della batteria di John Marshall, dal dialogo serratissimo che questa intrattiene con il basso di Roy Babbington, lasciando al sax di Travis e alle chitarre di John Etheridge il compito di volare liberi, a piacimento, a disegnare futuristiche fughe in avanti.

La prima tra le riletture sopra menzionate riguarda The Man Who Waved At Trains, ultimo brano composto da Mike Ratledge e contenuto in Bundles (1975): si tratta di una versione che ne mantiene l’intrigo e la morbidezza e dove si segnala la fitta tessitura di TT tra flauto e Fender Rhodes.

Ground Lift trova un momento di sottile improvvisazione colmo di angolarità, aspro, tra dissonanze e suoni tra loro in contrasto, una traccia che rimanda a molto del glorioso passato della band.

La mano di John Etheridge ricama sulla chitarra acustica per un quadretto breve e di estrema dolcezza e ad aumentare il pathos si aggiunge poi il sax (Heart Off Guard); diretta conseguenza è la successiva Broken Hill, di nuovo a firma del chitarrista, suadente e romantica, molto intensa, da ascoltare ad occhi chiusi.

Un tipico intermezzo jam tra psichedelia e jazz (Flight Of The Jet) ed è quindi il turno dell’ottima One Glove dove la groove la fa da padrone (Babbington sontuoso), una robusta impalcatura su cui poggiare le frasi del sassofonista prima e della sei corde poi.

Preceduta da un’introduzione intesa a creare la giusta suspense, arriva l’emozionante rivisitazione della prima parte di Out Bloody Rageous (per i più giovani rammento che la versione originale si trova su Third, anno 1970). A mio vedere si tratta di uno spaccato emozionante e, anche se so di ripetermi, devo evidenziare l’immensa opera di Theo Travis supportato a dir poco egregiamente dai tre veterani.

Un altro tema, molto breve, composto dal chitarrista (Drifting White) ed è la volta dell’episodio più lungo (8 minuti) ed inquieto della track list, Life On Bridges. Non sono molte le concessioni melodiche, sax e chitarra combattono tra loro e con la sezione ritmica a sua volta avviluppata su e contro se stessa, in un dedalo sonoro a tratti inestricabile e incline al noise.

Una ipnotica linea di basso, la batteria ed il flauto aprono per Fourteen Hour ed il sound diviene ora più morbido e malleabile, quasi a segnare un contraltare del brano precedente. Il ritmo si trasforma, quando rotondo, quando cadenzato, sino ad uno strappo avvincente e decisivo della chitarra.

E per concludere, ai SM non fanno difetto neppure le atmosfere rarefatte, sospese ed eteree tra lontani richiami new ageBreathe ne è uno splendido esempio.

Quale che sia l’alchimia, oppure la fonte dell’eterna giovinezza, o un patto con il diavolo, io non conosco la risposta ma credo di poter affermare che per i Soft Machine si possa trattare solo di..dettagli nascosti, particolari quasi invisibili.

 

Max

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.