frontCon un ritmo regolare, una cadenza ormai consolidata, tornano con un nuovo album gli svedesi Kaipa, orfani ormai da quasi un decennio del chitarrista e fondatore Roine StoltSattyg è il titolo della dodicesima e ultima fatica (pubblicato da InsideOut) e segue a due anni di distanza Vittjar, sin qui forse la loro migliore prova nella nuova formazione.

Dico subito che chi si aspetta novità o esperimenti da parte del sestetto scandinavo rischia di restare deluso. Sattyg prosegue sicuro la marcia a suo tempo intrapresa dalla band, ponendo al centro dell’attenzione dunque un mix di sonorità neo prog con notevoli accenti sinfonici e, talvolta, folk.

Come sempre in questi casi al riguardo si può aprire un dibattito sull’opportunità o la necessità di apportare modifiche, tentando di espandere i propri confini musicali: tendenzialmente è un argomento che mi trova favorevole ma devo dire che in questa occasione i Kaipa, pur mantenendo inalterate tutte le proprie coordinate, hanno fatto un buon lavoro.Line up confermatissima dunque, la stessa che ha composto ed inciso i tre album precedenti e che ruota principalmente intorno alle figure di Hans Lundin (tastiere) e del possente bassista Jonas Reingold, compagno di Stolt nei Flower Kings.

Il nuovo lavoro dei Kaipa si posiziona in modo alternativo rispetto a molte produzioni di genere più recenti nel senso che, ripescando dalla migliore ed antica tradizione neo prog, lascia ampio spazio alla chitarra; spazio nel quale Per Nilsson (membro anche dei Scar Simmetry) va ovviamente a nozze.

Lo schema compositivo del disco ricalca quello dei modelli precedenti, dunque lunghi brani estremamente larghi e stratificati, incisive parti soliste di chitarra e tastiere, solidi intrecci vocali ed una durata complessiva che si aggira intorno ai settanta minuti; un prog di matrice sinfonica come sempre molto curato.

Tre brani intorno al quarto d’ora di svolgimento e proprio uno di questi introduce il disco.

La voce altissima di Aleena Gibson, accompagnata da una cascata di tastiere e dalla chitarra, aprono per A Map Of Your Secret World; è una partenza lanciata, grande ritmo impresso dal duo Reingold– Morgan Ågren (batteria) sino ad un primo break di matrice folk. Il timbro caldo di Patrik Lundström (voce pure dei Ritual) spezza questa intro strumentale per dare il via ad una seconda parte in cui si svolge un intenso dialogo con Aleena Gibson. Sciabolate della chitarra che ricordano da vicino lo stile del predecessore, punteggiano felicemente il brano, scandito nella seconda parte da frequenti mutamenti di paesaggio sonoro. Sezione conclusiva molto dinamica con la ritmica in primo piano. Quindici minuti di gran qualità.

Toni morbidi, tinte quasi pastello per l’avvio di World of the Void con la voce della singer al centro della scena. Torna subito a farsi sentire, prepotentemente, la chitarra di Per Nilsson, rincalzata dalle tastiere; un lungo segmento strumentale precede il rientro della Gibson qui molto presente.

Screwed-upness è un altro passaggio sostanzioso, dominato da un mood inizialmente molto intenso e drammatico. La musica avanza cadenzata, con un ritmo costante, sino al primo cambio di ritmo. Un nuovo inserto sonoro di stampo folk, uno stacco e la reprise del tema, questo inseguirsi continuo prima di un radicale cambiamento. Entrano in gioco infatti sentori di una fusion-prog acida, quasi psichedelica per certi versi, con la quale la band mostra di esprimersi ottimamente; magie della sezione ritmica a ripetizione sulle quali Nilsson è libero di inventare con la sua chitarra sino all’epilogo.

La breve title track rimanda ad un’atmosfera medievale, suoni festosi e celebrativi che si tengono a corte per le grandi occasioni, una traccia che contraddistingue decisamente le sonorità del gruppo. L’ingresso del violino (Elin Rubinsztein) e della ritmica trasportano improvvisamente il brano in un’epoca moderna.

Terzo e ultimo moloch in scaletta, A Sky Full of Painters. Pezzo rutilante, dalla tensione crescente, dove non è difficile trovare analogie sonore (violino escluso) e punti di contatto con i Flower Kings. Un lungo fraseggio della chitarra, sostenuta da una groove possente, si snoda lungo la prima parte fungendo da guida. Un ritmo pastoso grazie ad un Reingold maestoso trascina la band nella sezione centrale, di nuovo chiari e piacevolissimi accenti fusion. Il segmento conclusivo vede tra l’altro  Patrik Lundström impegnato su di un registro molto alto, tanto da fare pensare a tratti a Jon Anderson; chiude uno splendido ed emozionante solo della sei corde.

Unique When We Fall riconduce inizialmente su lidi più tranquilli; ben presto però il pezzo acquista ritmo, velocità e mette a segno un altro bel duetto tra i due vocalist. Il lavoro della sezione ritmica, voglio ribadirlo, è incessante, vero asse portante ed imprescindibile delle strutture proposte dai Kaipa.

Si chiude con un altra traccia robusta, Without Time – Beyond Time. Ancora una volta le migliori caratteristiche della band si svelano per intero in questo brano: capacità di individuare felici linee melodiche, buone armonizzazioni, grande sostegno e buona varietà della ritmica. Gradevole anche l’alternanza delle parti cantate tra voce femminile e maschile, una riuscita composizione fra tratti strumentali ed altri cantati.

La capacità di offrire il meglio sulle lunghe distanze è un tratto significativo dei Kaipa e viene qui confermata e, se possibile, migliorata;  Sattyg è un lavoro centrato, non conosce momenti di stanca e regala passaggi di grande soddisfazione. Consigliato.

Max

 

 

 

 

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